di Piero Bellante
La Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) è intervenuta con la sentenza del 4 marzo 2020, causa C-655/18, in materia di furto di merce vincolata adun regime doganaleed applicabilità delle sanzioni alla luce del principio di proporzionalità. La Corte ribadisce la propria giurisprudenza consolidata, ricordando che il furto rileva sempre come evento oggettivo che comporta la sottrazione delle merci alla vigilanza doganale, indipendentemente dal comportamento del titolare del regime o da quello di terzi.
In questi casi non può essere invocata la causa di forza maggiore e l’obbligazione doganale sorge per effetto di quanto previsto dall’art. 79, comma 1, lett. a), codice doganale dell’Unione secondo cui: «[p]er merci soggette ai dazi all’importazione, sorge un’obbligazione doganale […] in seguito all’inosservanza di […] uno degli obblighi stabiliti dalla normativa doganale in relazione all’introduzione di merci non unionali nel territorio doganale dell’Unione, alla loro sottrazione alla vigilanza doganale […] o per la circolazione, la trasformazione, il magazzinaggio, la custodia temporanea, l’ammissione temporanea o la rimozione di siffatte merci all’interno di tale territorio».
Nel caso di specie la merce, dichiarata per l’introduzione in deposito doganale, era stata oggetto di furto durante il tragitto verso il magazzino ed era risultata mancante alle successive verifiche in deposito. Da qui la responsabilità, oggettiva secondo la Corte, del titolare del regime. La parte più interessante della pronuncia, tuttavia, è quella dedicata ai profili sanzionatori.
Il fatto era avvenuto in Bulgaria. Constatata l’irregolarità di cui sopra, l’autorità doganale aveva irrogato al titolare del regime,in conformità a quanto previsto dal diritto doganale bulgaro, una sanzione amministrativa commisurata al 100% del valore della merce ed aveva imposto il pagamento di un ulteriore somma di pari importo, corrispondente al valore della merce mancante.L’amministrazione bulgara aveva ritenuto conforme all’ordinamento doganale comunitario quest’ultima previsione, ritenendo che il pagamento del controvalore delle merci, previsto per questi casi dal diritto bulgaro, costituisse una misura sostanzialmente equivalente alla confisca prevista dall’art. 198 CDU 2013 come uno dei possibili strumenti a disposizione dell’autorità per disporre la rimozione delle merci dagli spazi doganali.
Anche nell’ordinamento italiano ed in quello unionale esiste qualcosa di simile, ma con una differenza sostanziale: l’alternativa alla confisca è costituita dal pagamento dei diritti doganali asseritamente dovuti sulla merce, non certo dal pagamento del suo valore. Ai sensi dell’art. 338 TULD, infatti, «[i]l pagamento della multa o dell’ammenda non esime dall’obbligo del pagamento dei diritti doganali, salvo il caso in cui la merce oggetto del contrabbando sia stata sequestrata»; il codice doganale dell’Unione ha recepito questa impostazione laddove è previsto che l’obbligazione doganale si estingua, tra l’altro, «quando le merci soggette a dazi all’importazione o all’esportazione veng[a]no confiscate o sequestrate e contemporaneamente o successivamente confiscate» (art. 124, comma 1, lett. e), CDU 2013).
Il titolare del regime impugnava la decisione ed il Tribunale amministrativo di Varna, condividendone i dubbi circa la conformità al diritto dell’Unione europea delle disposizioni azionate dall’amministrazione bulgara, sollevava una questione pregiudiziale interpretativa davanti alla Corte di giustizia. Sul punto, nella sentenza in commento la Corte dichiara senza mezzi termini che «una sanzione consistente nell’obbligo di pagare una somma corrispondente al valore delle merci sottratte alla vigilanza doganale non risulta proporzionata, […]. Infatti, una sanzione pari a tale importo eccede i limiti di quanto è necessario per garantire, in particolare, che le merci in regime di deposito doganale non siano sottratte alla vigilanza doganale» (CGUE, causa C-655/18, punto 44).
Costituisce giurisprudenza consolidata della Corte il principio secondo cui «le misure amministrative o repressive consentite da una normativa nazionale non devono eccedere i limiti di ciò che è necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti da tale normativa né essere sproporzionate rispetto ai medesimi scopi» (sent. cit., punto 43).
L’art. 42 CDU 2013 contiene, infatti, una disposizione quadro che impegna gli Stati membri ad adottare un sistema sanzionatorio per la prevenzione e la repressione delle violazioni doganali ispirato a criteri di effettività, proporzionalità e dissuasività. Questi criteri, introdotti per la prima volta nell’ordinamento doganale nell’art 21 del reg. (CE) n. 450/2008, codice doganale modernizzato mai divenuto efficace e sostituito dal CDU 2013 dal primo maggio 2016, sono il frutto di una lunga elaborazione giurisprudenziale iniziata negli anni Settanta del Novecento e giunta alla sua definizione nella sentenza resa dalla Corte di giustizia il 21 settembre1989 nella causa 68/88.
Secondo la Corte, dal dovere degli Stati membri di astenersi «da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione» (art. 4, comma 3, (ex art. 10 TCE) TUE), deriva la possibilità di sindacare la proporzionalità delle normative dei singoli Stati che, esorbitando dallo scopo, potrebbero essere di ostacolo per il raggiungimento degli obiettivi comuni (causa 68/88, punti 23 e 24). Il principio di proporzionalità è ora riconosciuto anche dall’art. 49, comma 3, della Carta di Nizza stipulata il 7 dicembre 2000, che ai sensi dell’art. 6 TUE ha lo stesso valore giuridico dei trattati UE e secondo cui «le pene inflitte non devono essere sproporzionate al reato».
In attesa dell’armonizzazione delle sanzioni doganali secondo questi principi, oggetto della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio allo stato in fase avanzata di elaborazione, l’auspicio è che il legislatore italiano intervenga al più presto per ridefinire il contenuto dell’art. 303 TULD, prima che su di esso si abbatta implacabile la scure della Corte di giustizia dell’Unione europea, in ragione della sua evidente contrarietàal principio di proporzionalità come sopra descritto.