Disapplicato l’art. 303 Tuld perché sproporzionato

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di redazione

La Commissione tributaria provinciale di Genova, con la sentenza 11 luglio 2019, n. 557, accogliendo il ricorso di una società importatrice, ha disapplicato la sanzione amministrativa prevista dall’art. 303 del DPR 23 gennaio 1973, n. 43 (Tuld), in quanto palesemente sproporzionata rispetto alla violazione commessa e ai diritti pretesi.

La vicenda trae origine dall’impugnazione cumulativa di tre provvedimenti di contestazione sanzioni, conseguenti alla definizione, a seguito di tre diverse controversie doganali, della maggiore pretesa erariale da parte del contribuente.

Una volta effettuato il pagamento dei maggiori diritti, l’Ufficio ha irrogato una sanzione amministrativa pari a 15.000 euro per ciascun atto, ex art. 303, terzo comma, lett. d), Tuld, per un ammontare complessivo di 45.000 euro.

Come noto, il terzo comma dell’art. 303 TULD, modificato dal DL 16/2012, stabilisce che se i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza dei diritti supera il 5%, la sanzione amministrativa, qualora il fatto non costituisca più grave reato, è applicata secondo i seguenti scaglioni:

  1. a) per diritti fino a 500 euro si applica la sanzione amministrativa da 103 a 500 euro;
  2. b) per i diritti da 500,1 a 1.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 1.000 a 5.000 euro;
  3. c) per i diritti da 1000,1 a 2.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 5.000 a 15.000 euro;
  4. d) per i diritti da 2.000,1 a 3.999,99 euro, si applica la sanzione amministrativa da 15.000 a 30.000 euro;
  5. e) oltre 4.000, si applica la sanzione amministrativa da 30.000 euro a dieci volte l’importo dei diritti.

Dalla sua entrata in vigore, tale disposizione è stata oggetto di numerose critiche, in quanto non vi è proporzionalità tra l’entità della sanzione e il disvalore dell’illecito, contrariamente ai principi comunitari che regolano l’applicazione delle sanzioni amministrative-doganali.

L’art. 42 Reg. Ue 952/2013 (CDU), infatti, stabilisce che “Ciascuno Stato membro prevede sanzioni applicabili in caso di violazione della normativa doganale. Tali sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.

La stessa Corte di Giustizia ha più volte precisato che le sanzioni irrogate dall’Agenzia delle dogane devono rispettare il principio di proporzionalità, in forza del quale le sanzioni non devono eccedere quanto necessario per conseguire gli obiettivi e devono tenere conto della natura e della gravità dell’infrazione commessa (Corte Giust., 26 aprile 2018, C-81/17; Corte Giust., 6 febbraio 2014, C-242/12).

Tale posizione è stata ripresa anche dalla Corte di Cassazione, la quale ha affermato che i giudici di merito non devono limitarsi a enunciare genericamente il principio della compatibilità con il diritto comunitario dell’irrogazione di una sanzione, ma devono altresì accertare se l’applicazione della stessa sia proporzionata, in concreto, alla violazione commessa (Cass., 996/2015; cfr. anche CTR Lombardia, 970/2016 e CTR Lombardia, 2129/2018).

Nel caso di specie, la Commissione tributaria provinciale ha affermato che, anche in applicazione dell’art. 5 del Trattato sull’Ue, il giudice è legittimato a disapplicare – senza dover attendere la rimozione in via legislativa o mediante procedure costituzionali – qualsiasi disposizione nazionale che si ponga in contrasto con norme europee direttamente applicabili, quali sono i trattati, i regolamenti, le sentenze della Corte di Giustizia e le direttive self executing.

Sulla base di tali principi, la CTP di Genova ha rilevato l’evidente “mancanza di compatibilità tra l’entità della sanzione e il disvalore dell’illecito (quasi il 500% dei diritti da recuperare). La norma, così come strutturata, pone evidenti questioni di compatibilità sia con i principi generali interni che con il principio comunitario della proporzionalità, più volte ribadito dalla Corte di Giustizia, per cui la sanzione non deve e non può risultare eccessiva rispetto all’entità della violazione”.

Con tale motivazione, il Collegio ha applicato una sanzione proporzionata alla violazione commessa, pari al minimo edittale previsto dal primo scaglione dell’art. 303 Tuld (da 103 a 500 euro).