Origine preferenziale (e non solo) 2020: meno certificati, più esportatori autorizzati

/ / Articoli newsletters, Professione e normativa

Interrogativi e nuove responsabilità

di Elena Di Benedetto

Maggio 2015 – Dicembre 2019: un CAD rappresenta alcune ditte nelle loro operazioni d’esportazione di merci con origine preferenziale italiana, verso Svizzera e Cile, di prodotti con origine e provenienza Cina, ma in libera pratica in UE, verso la Turchia. Il CAD, che già da tempo ha ottenuto l’autorizzazione per la procedura domiciliata, esporta i beni senza necessità di presentarli fisicamente negli spazi doganali e compila EUR 1, EUR MED ed ATR che la dogana della zona ha già timbrato e firmato in bianco, come da agevolazione procedurale introdotta molti anni prima (Nota 6305 del 30/05/2003 dell’ex Area Gestione Tributi e rapporto con gli Utenti e circolare 11/D del 28/04/2010 emessa dall’Agenzia delle Dogane). Canale verde, sdoganamento presso le sedi dei propri clienti e certificati previdimati garantiscono l’ottimizzazione dei tempi, fluidità nelle operazioni, velocità tanto al CAD come alle aziende che rappresenta. Solo poche settimane dopo, gennaio 2020: un operatore dello stesso CAD si reca fisicamente in dogana ed attende la firma (e quindi un minimo di controllo) dei certificati EUR 1, EUR MED e ATR da parte del funzionario competente. Cos’è accaduto? Non c’è nessun cambiamento, dopotutto il CAD continua a sdoganare la merce presso gli stabilimenti delle ditte che rappresenta, perché non utilizzare i soliti certificati già timbrati e firmati? Lo stesso CAD, inoltre, nel medesimo periodo, presenta istanza per la qualifica di esportatore autorizzato. Ma com’è possibile? Lo spedizioniere doganale (e quindi anche il CAD) non può certo acquisire questo status (Circolare n. 227 del 07/12/2000 del Ministero delle Finanze oppure art. 23 delle Note esplicative riguardanti i protocolli paneuromediterranei GUCE C16 del 21/06/2006, solo per citare alcune fonti).

Per quanto riguarda lo sdoganamento di merci in spazi diversi dall’area doganale, l’assenza di cambiamenti è solo apparente. In realtà, tale facoltà oggi non trova più fondamento nella procedura domiciliata, bensì nell’istituto del luogo approvato e la differenza è sostanziale. Se la domiciliazione era, infatti, una semplificazione del vecchio codice doganale (art. 76.1 lettera C Reg. CEE 2913/1992), autorizzata solo nel rispetto di stringenti requisiti soggettivi (art. 253 quater Reg. CEE 2454/1993), l’istituto del luogo approvato (art. 139 Reg. UE 952/2013) è una modalità ordinaria di presentazione della merce, non una semplificazione (non è infatti disciplinata dal Titolo V del Reg. UE 952/2013) e, per questo motivo, accessibile a più operatori. Il venir meno dei requisiti soggettivi per sdoganare la merce fuori dogana ha portato l’Agenzia a decretare lo stop ai certificati previdimati, escludendone l’’impiego con la nota 91956/RU del 26/07/2019 (applicabile entro il termine di 180 giorni dalla pubblicazione). Ed è sempre con la stessa nota che l’ADM, in linea con i recenti orientamenti della Commissione europea (esempio: documento di lavoro del Customs Expert Group sezione origine TAXUD/5530265/18), ha aperto a spedizionieri doganali, case di spedizione, al CAD del nostro esempio e, in generale, agli intermediari la possibilità di ottenere lo status di “esportatore autorizzato”, fermo restando l’accertamento preliminare dei requisiti necessari al conseguimento dello status.

L’eventualità di rallentamenti nel rilascio di certificati EUR 1 ed EUR MED, l’impiego di tempo e risorse nelle continue “trasferte” in dogana per vidimare certificati, dovrebbe motivare, quindi, produttori, commercianti, spedizionieri ed in generale intermediari a qualificarsi come esportatori autorizzati per poter autocertificare, prescindendo dalla dogana e dal valore della spedizione, il carattere preferenziale dei beni. Tale status, tuttavia, se da un lato è fonte di vantaggi per produttori, commercianti, autorità doganali e spedizionieri dall’altro potrebbe portare anche interrogativi e nuove responsabilità per questi ultimi. Mentre, infatti, i produttori/commercianti snelliscono documenti e ottimizzano tempi e costi, sostituendo certificati con autodichiarazioni, le autorità doganali passano dal monitoraggio della singola operazione al controllo sull’operatore, gli spedizionieri doganali potrebbero trovarsi a gestire, accanto ai benefici, anche un “rovescio della medaglia”.

Certo, uno spedizioniere doganale con la qualifica di esportatore autorizzato ha l’opportunità di offrire un nuovo servizio ai propri clienti, magari ancora lontani dallo status perché non in possesso dei requisiti, ma come può, in concreto, un intermediario, che rappresenta le aziende in dogana presentando dichiarazioni in loro nome e per loro conto, agire come esportatore autorizzato? Se leggiamo la definizione di esportatore autorizzato dell’art. 120 Reg. UE 2447/2015 (ma potremmo prendere anche l’art. 22 della Convenzione regionale sulle norme di origine preferenziali paneuromediterranee GUCE L54 del 26/02/2013 oppure l’art. 21 dell’Accordo di libero scambio con il Cile GUCE L352 del 30/12/2002) notiamo che tale figura è descritta come: “qualsiasi esportatore stabilito nel territorio doganale dell’Unione che effettui frequenti spedizioni di prodotti originari dell’Unione (…) e che offra alle autorità doganali soddisfacenti garanzie per l’accertamento del carattere originario dei prodotti”. Come viene, dunque, definito l’esportatore? Lo spedizioniere doganale, intermediario, può avere questo ruolo? L’esportatore è descritto nell’art. 1.19 Reg. UE 2446/2015 come “a) il privato che trasporta le merci che devono uscire dal territorio doganale dell’Unione se tali merci sono contenute nei bagagli personali dello stesso; b) negli altri casi, quando a) non si applica: i) la persona stabilita nel territorio doganale dell’Unione che ha la facoltà di decidere e ha deciso che le merci devono uscire da tale territorio doganale; ii) quando i) non si applica, qualsiasi persona stabilita nel territorio doganale dell’Unione che è parte del contratto in virtù del quale le merci devono uscire da tale territorio doganale”.

Risulta difficile immaginare che un intermediario possa rispettare tali condizioni. È normalmente l’azienda rappresentata che decide sulla spedizione delle merci, che ha sottoscritto un contratto con un cliente extra UE e che emette la fattura o i documenti di spedizione. Ed è sempre la ditta rappresentata che compare nel campo 2 del DAU (speditore/esportatore). Lo spedizioniere che mette al servizio del proprio cliente il suo status di esportatore autorizzato dovrebbe forse rappresentarlo in modalità indiretta, agendo per conto del rappresentato ma spendendo il proprio nome? In questo modo lo spedizioniere risulterebbe “dichiarante” ed estenderebbe la propria responsabilità a tutta l’operazione d’esportazione, andando oltre i confini della responsabilità per l’origine preferenziale dichiarata. E quest’ultima non è certo leggera o di poco conto. Gli spedizionieri che offrono la loro qualifica di esportatore autorizzato non possono semplicemente fare riferimento ai propri cliente per dimostrare il carattere preferenziale delle merci, devono essere loro stessi in grado di fornire le prove alle autorità doganali. Gli spedizionieri potrebbero trovarsi, quindi, a raccogliere informazioni circa il processo produttivo (se l’azienda che rappresentano è un produttore) o le varie dichiarazioni dei fornitori su allegato 22-15 Reg. UE 2447/2015 (nel caso in cui la ditta rappresentata sia un commerciante). Potrebbero richiedere, inoltre, a maggior tutela della loro posizione, delle IVO all’autorità doganale competente, impiegando tuttavia le proprie risorse ed i propri mezzi. Del resto la sottoscrizione di una dichiarazione d’origine preferenziale su fattura o su altro documento commerciale non è una banalità. L’uso scorretto dell’autorizzazione, l’autocertificazione del carattere preferenziale di una merce senza prove a supporto ha ripercussioni importanti, pur non essendovi un’obbligazione daziaria all’esportazione. Si tratta di conseguenze che vanno dalla revoca dell’autorizzazione (art.120.5 Reg. UE 2447/2015) all’accusa di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (art. 483 Codice Penale).

E per quanto riguarda l’ATR? Con lo status di esportatore autorizzato si può sottoscrivere la condizione di libera pratica in fattura o in altro documento commerciale? La Decisione 1/2006 del Comitato di Cooperazione Doganale CE-Turchia del 26/09/2006 non contempla la possibilità di sostituire l’ATR con un’autocertificazione. Lo status di esportatore autorizzato è comunque strategico anche nel caso dell’unione doganale UE-Turchia. È, infatti, la chiave per poter accedere alla procedura semplificata di rilascio degli ATR prevista dall’art 11 della Decisione 1/2006 e basata….sulla compilazione di ATR previdimati a cura di esportatori autorizzati