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CMR: diligenti o segugi?

da Redazione / mercoledì, 30 Dicembre 2015 / Pubblicato il Articoli newsletters, Professione e normativa

Un argomento apparentemente conosciuto e chiaro ma mai tanto per  non porre nuovamente l’attenzione sull’importanza di una corretta gestione documentale in relazione alle cessioni di beni fuori dal territorio nazionale, in particolare in ambito comunitario.

Partendo dall’orientamento della Corte di Giustizia UE, la quale  sancisce che per il concretizzarsi di una cessione in ambito Comunitario è necessario che “il diritto di disporre del bene come proprietario sia stato trasmesso all’acquirente e che il  fornitore abbia provato che tale bene sia stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, esso abbia lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione” (sentenza in causa C- 409/04, punto 42) è implicito che  […]spetta al fornitore dei beni dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti, in quanto l’onere della prova del diritto di fruire di una deroga o di un’esenzione fiscale (nel caso di specie del diritto alla non imponibilità IVA della cessione) grava su colui che chiede di fruire del siffatto diritto […] – sentenza 27/09/2007 causa C- 409/04, Teleos e, da ultimo, sentenza 06/09/2012 causa C- 273/11, Mecsek-Gabona- va da sé che ogni cedente non è mai esonerato da tale onere anche qualora abbia optato per una  condizione di consegna dei beni “a partenza”  ( es. EXW).

Sentenze come queste, per gli Organi verificatori italiani, suonano come “musica”  tanto che, ultimamente, abbiamo sempre più casi nei quali gli accertamenti degli uffici finanziari si concentrano sulla richiesta di prove inequivocabili di consegna merce ( in primis CMR) non solo quando si nutrono “dubbi” sull’effettiva consegna ma in modo del tutto sistematico.

Alla luce di ciò i Giudici, con una elaborata ricostruzione della giurisprudenza interna e comunitaria e delle interpretazioni assunte – anche di recente – dalla Agenzia delle entrate, hanno configurato il corretto comportamento che dovrebbe caratterizzare il cedente. Infatti, se da un lato va escluso che lo stesso sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni dopo la consegna al vettore incaricato, poiché ciò contrasterebbe con i principi di proporzionalità, per altro verso, si ritiene sussistente il dovere del cedente di impiegare la normale diligenza di un operatore commerciale in merito alla affidabilità della controparte, procurandosi i mezzi di prova adeguati alle necessità che siano in grado di non lasciare dubbi in merito all’effettività dell’esportazione ( o cessione) ed all’esistenza della buona fede.

Data la particolarità della situazione appare difficile trarre un messaggio generale, se non la estrema cautela che i cedenti italiani debbono assumere per essere in grado di dimostrare l’effettiva uscita; quando il trasporto avviene a cura dell’acquirente ciò non è semplice, ma appare indispensabile sforzarsi di “corredare” la pratica con documenti inequivocabili. Talvolta, uffici e giudici hanno valutato di buon grado anche un semplice fax spedito dal cessionario, ove si conferma l’arrivo della merce a destino ma, personalmente, ritengo queste interpretazioni come “mosche bianche” in mezzo ad un contesto di rigidità interpretativa, che è poi lo specchio dell’andamento di questo Paese.

Tutto questo, pertanto,  per sensibilizzare nuovamente gli operatori con l’estero che una cessione intracomunitaria va monitorata sino a quando non si ricevono prove certe ( documentali)  del fatto che l’acquirente ( o il ricevente) abbia effettivamente preso disponibilità dei beni.

Appare ovvio che, in modo speculare, qualora ci si trovi nella condizione di  “acquirenti” sarà  buona norma inviare da parte nostra  copia del CMR sottoscritto  ( o qualsiasi altro documento di ricevimento) alla nostra controparte quanto prima.

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