Antropologia Culturale Business Oriented

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di Francesco Di Bon – Docente in tecniche e psicologia della vendita

Comprendere Comunicare Negoziare

Nell’era della globalizzazione le nostre imprese si trovano a dover fare i conti con una dimensione finora di difficile comprensione, la “distanza culturale”, connessa sì alla distanza “fisica” ma di peculiare significato.
La questione ruota attorno non solo al concetto della stessa, ma alle relative problematiche che una mancata pianificazione commerciale “culture oriented” può causare.
Che si possa essere scettici verso l’insegnamento di una strategia di vendita vincente è saputo, ma partendo da un’analisi tecnica delle dinamiche comunicative e di negoziazione non si può prescindere dal fatto che le stesse siano culturalmente influenzate, qualunque imprenditore o commerciale estero potrà confermare.
Questo approccio però non si limita ad essere, come spesso si pensa, uno strumento esclusivamente alla portata di aziende o liberi professionisti che guardano ad una possibile internazionalizzazione della loro impresa o attività, ma nell’era della globalizzazione diventa una fonte di “risorse” anche per le aziende italiane che vogliono evolversi continuando a lavorare nel nostro suolo.
Il mercato sta cambiando sempre più velocemente, e questa rapidità a volte è la causa della perdita di controllo da parte delle nostre imprese, che sempre più spesso si chiedono “cosa e dove sto sbagliando”. Il fulcro di questo cambiamento ruota attorno a due variabili, l’economia e lo stravolgimento culturale, variabili connesse ma di diverso approccio e studio.
Da una ricerca di Intesa san Paolo le imprese gestite da cittadini immigrati hanno saputo reagire meglio alla crisi e ora hanno raggiunto il 10 per cento del totale.
In totale sono 575mila le aziende create dagli immigrati. E nel primo trimestre di quest’anno sono cresciute di 3.674 unità. Nello stesso periodo, le imprese fondate da italiani si sono invece ridotte di 19.759 unità.
Il settore in cui le imprese di stranieri sono maggiormente presenti è quello del commercio (circa 208mila imprese, il 36% di tutte le aziende a guida straniera), seguito dalle costruzioni (132mila, il 23% delle straniere) e da alloggio e ristorazione e manifattura (entrambe prossime alle 45mila unità). Quasi un’impresa di stranieri su tre (il 31,8%) è artigiana. (Fonte www.agi.it)
Queste sono imprese che generano reddito ma che operano dal punto di vista commerciale e relazionale in modo totalmente diverso dal nostro.
Una formazione Culture Oriented è d’obbligo quindi, anche perché le aziende si trovano a dover sopperire ad una forte carenza di informazioni di mercato e soprattutto ad un’inadeguata fornitura di linee guida da seguire, fattori che portano ad un’inefficace organizzazione interna che in certe circostanze crea totale mancanza di crescita.
Spesso durante i nostri convegni le aziende partecipanti descrivono la loro scelta di internazionalizzarsi come un’ultima spiaggia, riconoscono le potenzialità del loro prodotto o servizio ma hanno perso totalmente il controllo sul loro mercato target, sul mercato che ha fatto di loro ciò che sono, ignorando che il “processo” di internazionalizzazione richiede uno studio molto approfondito che non si limita allo sguardo verso la concorrenza oppure alla conoscenza di una lingua. Il processo di internazionalizzazione è un processo lungo e costoso che dev’essere pianificato in tutti i suoi stadi.
Questo processo richiede una preparazione molto importante che comprende le problematiche legate alla distanza logistica cioè la parte tecnica, rapporti con le dogane, la fiscalità, i contratti etc…, e la distanza culturale, la gestione delle tempistiche, la negoziazione, la pianificazione di un incontro “dove” e “come”, la scelta della lingua di mediazione.
Gli studi antropologici e la nostra esperienza come viaggiatori ci testimonia che le differenze comportamentali tra occidente ed oriente assumono una rilevanza strategica, le prime definite da una metodologia nel fare business molto più diretta e con la priorità di arrivare all’obbiettivo nel minor tempo possibile ottimizzando tutti i processi, le seconde da un business molto legato alla superstizione quindi un’esigenza di relazione personale molto più amplia ed approfondita.
Gli studi di Hofstede sui modelli di misurazione dei valori culturali, ad esempio, sono un ottimo strumento per definire delle linee guida comportamentali culture oriented, ma questo richiede prima di tutto una predisposizione da parte delle imprese e degli imprenditori ad un cambiamento del loro modus operandi, una positiva predisposizione alla formazione ad alla consulenza propedeutica.
Le possibilità ci sono bisogna solo avere gli strumenti per trovarle.

“Non perdiamo il controllo su ciò che abbiamo a portata di mano, ma prendiamo il controllo su ciò che farà di noi il futuro”