A pochi mesi dall’entrata in vigore della riforma doganale approvata con il d.lgs. 141/2024, il Consiglio dei Ministri ha adottato un primo decreto correttivo che interviene in modo significativo sul sistema sanzionatorio penale e amministrativo. Le modifiche mirano a chiarire e correggere alcune criticità emerse nella fase di prima applicazione delle nuove norme, in particolare per quanto riguarda i dazi e l’IVA.
Tra le principali novità, si segnala l’introduzione di una soglia unica di rilevanza penale per il comma 1 dell’articolo 96 pari a:
100.000 per gli altri diritti di confine, principalmente l’IVA all’importazione.
La soglia dei 10.000 euro, inizialmente prevista anche per l’IVA, aveva suscitato forti preoccupazioni tra gli operatori in quanto avrebbe ampliato eccessivamente l’ambito delle condotte penalmente rilevanti. Il decreto correttivo ha dunque recepito tali istanze, mantenendo una soglia più elevata per le violazioni IVA.
L’innalzamento a 100.000 euro della soglia penale per il contrabbando relativo ai tributi diversi dai dazi doganali comporterà una più estesa applicazione della confisca amministrativa prevista dall’art. 96, comma 7, del DNC, che dispone la confisca delle merci coinvolte nell’illecito, salvo i casi di revisione su istanza di parte.
Il legislatore ha inoltre modificato anche il comma 13 dell’articolo 96 per fugare ogni dubbio e perplessità circa la non applicabilità della confisca contestuale alle sanzioni amministrative:
Comma 13: «Non si applicano le sanzioni amministrative e non si procede alla confisca in tutti i casi in cui la revisione della dichiarazione di cui all’articolo 42 è avviata su istanza del dichiarante, sempreché l’istanza sia presentata prima che il dichiarante abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.»
Relativamente alle circostanze aggravanti il legislatore ha riformulato l’art. 88 DNC, ridisegnando le soglie di punibilità, ispirate al sistema sanzionatorio tributario nazionale contemplato nel decreto legislativo 10 marzo 2000 n.74:
1) al comma 2:
- 1.1.) la lettera e) è sostituita dalla seguente:
- «e) quando l’ammontare dei diritti di confine dovuti o indebitamente percepiti o indebitamente richiesti in restituzione a titolo di dazio doganale è superiore a 100.000 euro;»
 
- 1.2) dopo la lettera e) è inserita la seguente:
- «e-bis) quando l’ammontare complessivo dei diritti di confine dovuti o dei diritti indebitamente percepiti o indebitamente richiesti in restituzione diversi dal dazio doganale è maggiore di euro 500.000.».
 
2) il comma 3 è sostituito dal seguente:
- «3. Per i delitti di cui al comma 1, alla multa è aggiunta la reclusione fino a tre anni:
- a) quando l’ammontare dei diritti di confine dovuti o indebitamente percepiti o indebitamente richiesti in restituzione a titolo di dazio doganale è maggiore di euro 50.000 e non superiore a euro 100.000;
- b) quando l’ammontare complessivo dei diritti di confine dovuti o dei diritti indebitamente percepiti o indebitamente richiesti in restituzione diversi dal dazio doganale è maggiore di euro 200.000 e non superiore a euro 500.000.».
 
Un altro aspetto importante è il rafforzamento della causa di non punibilità in caso di contrabbando “formale” (es. mancata o errata dichiarazione), consentendo all’operatore di regolarizzare la propria posizione tramite il pagamento dei tributi dovuti e di una sanzione amministrativa ridotta, compresa tra il 100 e 200% degli importi contestati, estinguendo il reato. Tale possibilità è ora espressamente prevista nel riscritto art. 112 DNC, a condizione che l’operatore proceda alla regolarizzazione prima dell’avvio di procedimenti penali. La misura intende favorire comportamenti collaborativi e spontanei da parte degli operatori, limitando l’applicazione del diritto penale ai soli casi di reale condotta fraudolenta.
Il decreto introduce anche un meccanismo di revisione spontanea della dichiarazione doganale che consente agli operatori di evitare la confisca della merce in caso di errore, a condizione che la richiesta sia presentata prima della conoscenza formale di accertamenti, ispezioni o verifiche. Questo si collega agli articoli 78-83 DNC, che trattano la confisca e le modalità di estinzione del reato. È inoltre rafforzata la possibilità di riscattare i beni confiscati, anche in via anticipata, mediante il pagamento del valore dei beni, salvo i casi i previsti dell’art. 240, co. 2 c.p., salvo i casi di prodotti non commerciabili.
Nonostante le proposte avanzate dalla VI Commissione Finanze, tra cui l’introduzione di un regime sanzionatorio più favorevole per gli operatori economici autorizzati (AEO) e la valorizzazione delle aziende certificate, il Consiglio dei Ministri ha preferito mantenere un approccio più rigido escludendo la previsione di sanzioni ridotte o presunzioni favorevoli per gli AEO. Analoga sorte è toccata alla proposta di escludere le sanzioni in caso di violazioni formali prive di impatti sull’affidabilità dell’operatore, che non è stata accolta.
In conclusione, il decreto correttivo avrebbe dovuto rappresentare un primo passo importante verso l’equilibrio tra esigenze di legalità e semplificazione amministrativa ma la pubblicazione della Sentenza n.93 del 03/07/2025 della Corte Costituzionale ha rimesso in discussione l’apparato del DNC e dei correttivi, che probabilmente costringerà il legislatore ad un ulteriore intervento che tenga conto dell’indirizzo giurisprudenziale.
La Corte Costituzionale dopo una analisi attenta e circostanziata ha deliberato l’illegittimità costituzionale dell’art. 70, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, negli artt. 282 e 301 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), nella parte in cui, nello stabilire che «[s]i applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine», non prevede che, in caso di applicazione dell’art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973, le cose che costituiscono oggetto della violazione non sono confiscate se l’obbligato provvede al pagamento integrale dell’importo evaso, degli accessori, comprensivi degli interessi, e della sanzione pecuniaria.
- In tal modo la Corte Costituzionale ha ristabilito due principi fondamentali:
- La sproporzionalità dell’attuale sistema sanzionatorio, nel momento in cui lo Stato ha recuperato l’intero debito tributario e quindi viene meno anche quella funzione di garanzia che può giustificare la confisca obbligatoria.
- L’Iva, anche se ora è esplicitamente qualificata dal legislatore come diritto di confine, ha una natura radicalmente diversa dai dazi doganali e tale struttura non può essere incisa dalla suddetta qualificazione.
 
L’Iva è strutturata sulla base del principio di neutralità fiscale rispetto a tutte le attività economiche, il che implica il diritto per il soggetto passivo di detrarre l’IVA dovuta o assolta a seguito della cessione di beni o di prestazione di servizi; in tal senso, la Corte di giustizia dell’Unione europea, sesta sezione, sentenza 17 luglio 2014, causa C-272/13, Equoland soc. coop. srl, ha ricordato che la giurisprudenza unionale ha ripetutamente affermato il «ruolo preponderante che il diritto a detrazione occupa nel sistema comune dell’IVA, diretto a garantire la perfetta neutralità fiscale di tale imposta» (punto 41).
I dazi e le misure a essi equivalenti, invece, sono diritti di confine che svolgono funzioni ben diverse, essendo diretti ad aumentare il prezzo di specifiche merci nella prospettiva di proteggere l’economia e il mercato interno nonché ad alimentare le risorse proprie dell’Unione europea.
In conclusione l’IVA all’importazione e i dazi doganali presentano in comune il solo fatto generatore e il momento dell’esigibilità, che si ricollegano entrambi all’atto dell’importazione delle merci, e se, quindi, solo in relazione a questo profilo deve ritenersi che il legislatore abbia potuto qualificarla come «diritto di confine», la Corte Costituzionale nella sentenza n.93 ribadisce che «l’IVA all’importazione non fa parte dei “dazi all’importazione”, ai sensi dell’articolo 5, punto 20, [CDU], che riguarda i dazi doganali dovuti all’importazione delle merci» (Corte GUE, sentenza 12 maggio 2022, causa C-714/20, U.I. srl), perché «non possiede le caratteristiche di una tassa di effetto equivalente a dazi doganali all’importazione ai sensi degli artt. 12 e 13, n. 2, del Trattato» (punto 22) ed è diretta a garantire la neutralità rispetto all’origine dei beni, al fine di porre le merci importate nella stessa situazione dei prodotti nazionali analoghi per quanto riguarda gli oneri fiscali (così già Corte GUE, sentenza 5 maggio 1982, causa C-15/81, Gaston Schul).
Resta ora da attendere la presa d’atto dell’Agenzia delle Dogane che dovrà procedere alla ulteriore revisione del decreto legislativo 141/2024 e del decreto legislativo n.81/2025 in linea con quanto stabilito dalla suprema Corte Costituzionale.
10.000 euro per le violazioni relative ai dazi,

