La fine del multilateralismo?

Il ritorno dei dazi nell’America di Trump

Considerata un pilastro del commercio internazionale, la clausola della nazione più favorita (MFN), prevista dall’Articolo I del GATT del 1994, si fonda sul principio fondamentale di assicurare a tutti gli Stati membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) un trattamento commerciale equo e non discriminatorio. In sostanza, il principio della MFN rappresenta da anni una garanzia di stabilità e prevedibilità nelle relazioni economiche globali, prevedendo che “qualsiasi vantaggio, favore, privilegio o immunità concesso da qualsiasi parte contraente a qualsiasi prodotto originario o destinato a qualsiasi altro paese sarà accordato immediatamente e incondizionatamente al prodotto analogo originario o destinato ai territori di tutte le altre parti contraenti”.

Come ben noto ai lettori, tra i membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio figurano, sin dal 1995, anche gli Stati Uniti d’America. Da qui sorge una domanda del tutto lecita: il Presidente Donald Trump, quel 2 aprile 2025, si è forse dimenticato dell’esistenza della clausola MFN? Ripercorriamo insieme le tappe che stanno portando, forse, alla distruzione del multilateralismo.

Le principali mosse daziarie

Tutto ha avuto inizio il 10 febbraio 2025, quando il Presidente Trump ha firmato le Proclamation 10895 e 10896, introducendo un adeguamento delle importazioni di acciaio e alluminio negli Stati Uniti. Le misure, entrate in vigore il 12 marzo, hanno previsto l’imposizione di dazi del 25% su tutte le importazioni di questi materiali da paesi terzi. La decisione è stata motivata come risposta a una situazione di emergenza nazionale, determinata dal progressivo indebolimento dell’industria siderurgica americana e da una crescente dipendenza da fornitori esteri. Se già questa notizia ha creato instabilità nel commercio internazionale, anche il mese di aprile ha contribuito ad aggravare la situazione. Infatti, a partire dal 3 aprile sono entrati in vigore dazi del 25% sulle automobili europee e, in occasione del cosiddetto “Liberation Day”, tariffe generalizzate del 20% su tutte le importazioni di beni provenienti dall’Europa, del 34% sui beni cinesi, e del 46% sui beni di origine vietnamita, solo per citarne alcuni.  A ciò si è aggiunta una notizia fresca del mese di maggio: il Presidente americano ha annunciato una possibile tariffa del 100% su tutti i film prodotti all’estero, dichiarando che l’industria cinematografica americana è in rapido declino e che quindi è necessario contrastare questa ulteriore minaccia alla sicurezza della nazione.

Questa serie complessa e articolata di nuovi dazi, definiti dal Wall Street Journal “i più stupidi della storia”, ha un obiettivo preciso: “Make America great again”. Il filo conduttore di questa spinta protezionistica risiede nella volontà di correggere il disavanzo della bilancia commerciale; riportare in primo piano il tema del re-shoring e rinegoziare quegli accordi commerciali stipulati negli anni con partner che, ad oggi, sembrano essere svantaggiosi per la nazione americana.

USA: Il dazio come arma

Per attuare questa strategia, l’amministrazione Trump ha fatto ricorso a strumenti politici legislativi già presenti nel diritto statunitense. In particolare, si è appellata alla Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, che consente l’imposizione unilaterale di dazi doganali qualora le importazioni siano considerate una minaccia alla sicurezza nazionale e alla Sezione 301 del Trade Act del 1974, che autorizza l’adozione di misure a svantaggio di quei paesi che violano gli accordi commerciali o adottano pratiche incorrette. Questi poteri presidenziali di emergenza, sanciti e riservati a periodi di conflitto o a minacce effettive, sollevano un altro interrogativo: la situazione era davvero così estrema da non lasciare spazio ad altre soluzioni? I partner internazionali si sono mostrati fortemente dubbiosi e, preoccupati, hanno minacciato di adottare severe contromisure. L’adozione di una strategia sensibilmente selettiva e basata principalmente sull’imposizione unilaterale di dazi e tariffe, evidenzia un chiaro allontanamento dai principi del commercio multilaterale costruiti nel tempo attraverso decenni di cooperazione internazionale. Ne emerge un contesto in cui il rischio di una nuova guerra commerciale, basata su una definizione di dazio come arma di pressione geopolitica, appare sempre più concreto. Lo stile protezionistico e autoritario adottato dell’amministrazione statunitense si pone in forte contrasto con i principi fondamentali del diritto internazionale e con lo schema del commercio multilaterale. L’aumento del prezzo di consumo, il rallentamento della crescita economica globale, l’instabilità finanziaria e il raffreddamento delle relazioni internazionali sono solo alcune delle conseguenze che l’attuazione di questa strategia rischierà di produrre nel breve periodo. Questi sviluppi porteranno, molto probabilmente, i paesi colpiti dalle misure minacciose dell’amministrazione Trump ad adottare contromisure mirate, nel tentativo di frenare l’escalation protezionistica e custodire quell’insieme di regole condivise a livello globale, frutto di anni di negoziazioni e cooperazione internazionale.

UE: Una risposta prudente

L’Unione Europea si mostra aperta al dialogo e alla negoziazione, concedendo un periodo di 90 giorni – che coincide con la sospensione temporanea dei dazi aggiuntivi decisa dal Presidente americano – nella speranza che gli Stati Uniti rivedano la propria posizione e si possa così favorire una stabilizzazione dell’economia globale. In caso contrario, ha dichiarato la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, l’UE è pronta a reagire con contromisure “forti ma proporzionate” che prevedono la reintroduzione delle misure di riequilibrio sospese per il 2018 e il 2020 e l’imposizione di un nuovo pacchetto di misure aggiuntive. Va ricordato che dal 27 dicembre 2023 l’Unione Europea ha introdotto lo strumento anti-coercizione attraverso il regolamento (UE) 2023/2675 sulla protezione dell’Unione e dei suoi Stati membri dalla coercizione economica che mira a proteggere l’Unione da pressioni economiche ingiuste provenienti da paesi non appartenenti all’UE. Questo complesso sistema normativo, noto anche come “bazooka” potrebbe essere una delle carte che l’Unione Europea potrebbe mettere in gioco per mitigare i rischi derivanti dall’inaffidabilità del partner americano che da un momento all’altro potrebbe annunciare nuovi “ricatti daziari”.

Una sfida al sistema multilaterale

L’aggressività e l’imprevedibilità che caratterizzano la seconda amministrazione Trump rappresentano una sfida diretta alle colonne portanti su cui si fonda l’Organizzazione Mondiale del Commercio, in particolare ai principi di non discriminazione, trasparenza e cooperazione internazionale. Le scelte unilaterali adottate dagli Stati Uniti, come l’imposizione di dazi-minaccia mascherati da “misure protezionistiche”, colpiscono duramente il sistema multilaterale e mettono a rischio la stabilità dell’intera economia globale. In questo scenario, il futuro del commercio internazionale dipenderà in larga misura dalla volontà degli Stati Uniti di riconsiderare la propria posizione e di rientrare in un quadro di alleanze fondate sul rispetto delle regole comuni. Solo attraverso un impegno condiviso sarà possibile evitare che le tensioni economiche si trasformino in uno scontro geopolitico più ampio, con conseguenze gravi per la crescita, gli investimenti e per il commercio in generale.

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