Il rigetto delle osservazioni difensive deve essere puntualmente motivato

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di Piero Bellante

La Corte di giustizia dell’Unione europea è intervenuta in materia di diritto al contraddittorio nella sentenza resa nella causa C-189/18 del 16 ottobre 2019, in un procedimento che aveva ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale interpretativa rivoltale dal Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest. Nella sentenza la Corte tratta anche altre importanti questioni inerenti i diritti della difesaper quanto riguarda, ad esempio, l’accesso agli atti da parte del soggetto passivo di un’obbligazione tributariain relazione al diritto all’assunzione delle prove di cui all’art. 47, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza). Questa norma prevede che «[o]gni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste» in detto articolo; la Cartaha lo stesso valore giuridico dei trattati per effetto dell’art. 6, comma 1, del Trattato sull’Unione europea (TUE).

Il punto della sentenza C-189/18 che qui interessa è quello dove la Corte afferma perentoriamente che l’amministrazione deve prestare «tutta l’attenzione necessaria» alle osservazioni difensive presentate dall’interessato, esaminando «in modo accurato e imparziale, tutti gli elementi rilevanti della fattispecie e motivando circostanziatamente lasua decisione» (punto 41 della sentenza citata). Il principio è già noto ai giuristi: l’obbligo di motivazionenel nostro ordinamento è previsto dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 secondo cui «ogni provvedimento amministrativo , […], deve essere motivato». La l. n. 241/1990 è richiamata anche nello Statuto attualedell’Agenzia delle dogane, che si conforma all’applicazione di principi in essa contenuti. L’obbligo di motivazione è previsto anche nel comma 5 bis dell’art. 11 d.lgs. 374/1990 in materia di revisione dell’accertamento: «la motivazione dell’atto deve indicare i presupposti in fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato.»

Nella sentenza in commento i giudici del Lussemburgo si sono soffermati sull’obbligo di motivazione nella fase precontenziosa. In questa fase l’ufficio valuta le osservazioni difensive che il dichiarante (o l’importatore se siamo all’interno di un procedimento di verifica instauratoa posteriori ai sensi dell’art. 48 CDU 2013) ha il diritto di formulare, nei tempi e nei modi del contraddittorio preventivo o «diritto ad essere sentiti» secondo la terminologia in uso nelle fonti di diritto dell’Unione europea. Mi riferisco qui all’art. 22, comma 6, del Codice doganale, dove si stabilisce che «prima di prendere una decisione che abbia conseguenze sfavorevoli per il richiedente [e tra le richieste vi sono certamente anche quelle di vincolo della merce ad un regime doganale mediante la presentazione delle dichiarazioni, n.d.a.], le autorità doganali comunicano le motivazioni su cui intendono basare la decisione al richiedente, cui è data la possibilità di esprimere il proprio punto di vista entro un dato termine […]».

In questa sentenza la Corte di giustizia, richiamando anche suoi precedenti, spiega una volta per tutte quali siano i doveri dell’amministrazione in questa fase del procedimento. Il contradittorio preventivo ha lo scopo di «assicurare una tutela effettiva della persona coinvolta», consentendo «a quest’ultima di correggere un errore o far valere elementi relativi alla sua situazione personale tali da far si che la decisione sia adottata o non adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro» (punto 41 sent. cit.);in questi casi la contestazione delle osservazioni da parte dell’amministrazione deve essere puntuale.Il caso esaminato dalla Corte riguarda le frodi IVA, ma il principio affermato nella sentenza C-189/18 può essere esteso, senza ombra di dubbio, alle obbligazioni doganali che si assumano sorte per inosservanza di obblighi o condizioni ai sensi dell’art. 79 del Codice doganale. Nel caso delle frodi IVA la Corte ha affermato che «il beneficio del diritto a detrazione può, […], essere negato a un soggetto passivo qualora si dimostri, e solamente qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che detto soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni o servizi, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione IVA»;ed ancora: «spetta alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che i soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in tale frode» (punto 35 sent. cit.). L’obbligo di motivare una decisione in modo dettagliato e completo, conclude la Corte, «al fine di consentire all’interessato di comprendere le ragioni del diniego opposto alla sua domanda, costituisce un corollario del principio del rispetto dei diritti della difesa».
Questi diritti sono garantiti dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dagli artt. 3 (principio di uguaglianza), 24 (diritto di difesa), 97 (principio di imparzialità della pubblica amministrazione) e 111 (principio del giusto processo) della Costituzione italiana.