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Abrogate le norme sull’indicazione obbligatoria di origine sui prodotti a marchio italiano

da Redazione / giovedì, 01 Ottobre 2009 / Pubblicato il Professione e normativa

Con il d.l. n. 135 del 25 settembre 2009 (in Gazzetta Ufficiale del 25 settembre 2009), sono state abrogate le disposizioni di cui al comma 4, dell’articolo 17 della “legge sviluppo” (l. 23 luglio 2009, n. 99) con cui lo scorso luglio, il Parlamento italiano aveva apportato alcune modifiche all’articolo 4, co. 49, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (finanziaria 2004) relative all’obbligo dell’indicazione di origine su tutti i prodotti recanti marchi aziendali italiani, realizzati in tutto od in parte al di fuori del territorio italiano.

Il Governo con il nuovo provvedimento apporta nuove modifiche all’articolo 4, comma 49, della finanziaria per il 2004, introducendo fra l’altro due nuovi commi (49-bis e 49 ter), le cui disposizioni entreranno in vigore decorsi 45 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

Nel frattempo, l’Agenzia delle Dogane, con la Nota n° 129830 del 29 settembre 2009 fermo ha precisato che non devono considerarsi più applicabili le disposizioni di cui alle note dell’Agenzia delle Dogane n° 110635 del 11/08/2009 e n° 111601 del 13/08/2009, con particolare riguardo all’autocertificazione da presentare per le merci fabbricate/prodotte prima del 15 agosto 2009 all’estero e recanti un marchio italiano.

In base alle modifiiche introdotte, si ritorna pertanto indietro nel tempo e viene ripristinata la situazione esistente prima della data del 15 agosto. Il nuovo comma 49 bis aggiunge tuttvia una nuova fattispecie di fallace indicazione di origine, punita con sanzione amministrativa e confisca obbligatoria del prodotto o della merce, salvo che il titolare od il licenziatario responsabile dell’illecito non sànino le suddette irregolarità tramite l’apposizione di indicazioni corrette circa l’origine del bene, apponendole direttamente sullo stesso, sulla sua confezione, od anche sui documenti di corredo per il consumatore. Tale ipotesi si configura quando il titolare o licenziatario di un dato marchio utilizza lo stesso con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che i prodotti o merci sul quale esso è apposto sono di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, e che detti prodotti/merci non sono accompagnati da indicazioni precise ed evidenti riguardo la loro (effettiva) origine o provenienza estera, oppure; non sono accompagnati da indicazioni comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, oppure manca qualsiasi attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto.

Il nuovo provvedimento infine (comma 4, art. 16) vieta espressamente alle imprese di dare uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», ed altre indicazioni simili, in qualunque lingua espressa, ingenerando nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero utilizzi segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, salvo che il prodotto non venga «realizzato interamente in Italia», laddove con tale espressione deve intendersi un prodotto che sia classificabile come «made in Italy», in base alla normativa europea sull’origine e per il quale le 4 fasi del design, progettazione, lavorazione e confezionamento siano state realizzate esclusivamente sul territorio italiano. Le violazioni di tale divieto saranno punite, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene di cui all’articolo 517 del codice penale, aumentate di un terzo.

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